Tutti gli animali tendono all’imbroglio e all’inganno. Tutti sono selezionati per farlo. Tutti, usando un termine abusato, ce l’hanno scritto nel DNA.
Non siamo quindi gli unici bugiardi esistenti al mondo, e questo ci alleggerisce la coscienza! Giusto?
Non del tutto.
La molla dell’inganno: cosa ci spinge a mentire agli altri
Gli altri animali infatti rispettano una semplice ed universale regola: non si ingannano i propri simili. Insetti foglia,
leoni in agguato, opossum che si fingono morti sono tutti maestri dell’inganno. Imbrogliano pressoché chiunque eccetto chi è come loro.
La nostra specie al contrario concentra proprio sui consimili la sua attenzione, ed è verso chi è più simile a noi che riversiamo la stragrande maggior parte delle bugie.
Incominciamo dal capire perché gli altri animali non si ingannano. Prendiamo ad esempio l’opossum, appunto. Questo marsupiale si caratterizza per una strana ma efficace tecnica di difesa, cioè il fingersi morto. L’abilità con cui tale animaletto recita fa invidia ai migliori attori: occhio sbarrato, lingua fuori, membra rigide e afflosciate allo stesso tempo, posizione fetale, respiro ridottissimo. Per chiunque non stia a osservarlo a lungo è molto difficile distinguere un opossum morto da uno che finge la morte.
Nessun opossum però assumerebbe questa posizione di fronte a un altro opossum. Questo perché l’inganno produce un effetto negativo micidiale per ogni specie, cioè cancella il concetto di fiducia.
Spieghiamo meglio questo punto. Un opossum cerca una compagna. La trova, ma questa, non gradendo le sue avances, preferisce la tattica classica dell’infarto improvviso e ZAC! stramazza al suolo.
L’opossum, preoccupato, cerca di aiutarla, si avvicina, si preoccupa e prova a fare qualcosa. Poi, mentre è indaffarato in questo compito, scopre che la femmina in questione non solo non è ferita né morta, ma è fuggita mentre lui si dannava l’anima inutilmente. Cosa penserà la povera bestiolina? Chiunque abbia letto o sentito la storia di al lupo al lupo, intuisce le conclusioni del marsupiale: mai fidarsi delle femmine!
Questo concetto appare assurdo all’opossum, ma nella nostra specie è un po’ il cardine di qualsiasi relazione. Se avete più di 12 anni sapete bene che non ci si deve MAI fidare dei maschi se siete femmine e delle femmine se siete maschi.
Come siamo giunti a questo?
Un cervello evoluto per l’inganno
Una delle motivazioni più ovvie è l’enorme sviluppo del nostro cervello. Ingannare porta senza dubbio vantaggio a breve termine a chi lo compie, e in teoria è il gruppo a farne le conseguenze. Nelle altre specie il rischio è talmente forte da escludere l’istinto di anche solo immaginare di farlo.
Ma una specie egoistica e astuta come la nostra non si preoccuperebbe di certo, lasciata a scegliere, del benessere del gruppo. L’inganno è diventato così parte del nostro mondo che è quasi impossibile svelarlo per davvero, se non usando tecniche molto complesse (analisi del linguaggio del corpo, interrogatori, macchina della verità).
La società umana dei primordi aveva quindi a che fare con questo atroce dilemma: lasciare i suoi membri liberi di agire – e quindi di mentire – o imporsi su di essi in modo tirannico e proibire le menzogne.
Entrambe le soluzioni erano e sono però impraticabili, per ovvi motivi. Nel primo caso vivere in un gruppo di mentitori non è piacevole per nessuno (oggi ne sappiamo qualcosa in Italia). Ma anche finire in galera per aver risposto “sì, sei dimagrita!” alla moglie apprensiva non è molto allettante.
La soluzione più ovvia fece leva su delle caratteristiche umane ormai cadute in disuso: onore e onestà.
Onesti e onorevoli: le leve contro l’inganno
L’onore era una potentissima leva per far funzionare il tutto, e questo fu sempre ben rimarcato. Chi ingannava gli altri lo faceva a un rischio altissimo, cioè la perdita di rispetto da parte del resto del gruppo. In una società anonima come la nostra ciò ha poco senso, ma in un paesello dove tutti sanno che sei un bugiardo hai poco modo di fare il furbo. Questo principio faceva in modo che mai, per nessun motivo era lecito rompere le regole dell’onore, neppure quando si era in lite furibonda con qualcun altro.
Le liti erano legittime, così come, in caso di torto subito, rendere la pariglia, ma comunque senza mai rinnegare il proprio onore.
Con la crescita dei gruppi, una nuova norma fu necessaria per inibire il comportamento alla bugia, e venne in aiuto la religione. Tutte le religioni promettono maledizioni e terribili penitenze per chi è sorpreso a imbrogliare. Nel medioevo ad esempio era più severa la punizione per chi era spergiuro rispetto ad esempio a chi feriva, anche in modo volontario. Questo perché un colpo poteva anche starci, magari perché ci si era ubriacati, o perché bisognava “chiarirsi meglio”, anche con la violenza. Ma la bugia e l’inganno al contrario erano frutto di mente fredda e si facevano con l’intento preciso di arrecare un danno, quindi erano considerate molto peggiori.
Queste norme appaiono molto inutili per regolarci, specie in una società come quella attuale, dove nessuno conosce nessuno, eppure non sono fatte “a caso”.
Tutte le culture e per quanto ne sappiamo in tutte le epoche utilizzano le stesse norme di onore, onestà e giustizia, questo perché tali concetti sono profondamente “incisi” nel nostro codice genetico (di nuovo il DNA, sempre lui). Allora perché sfuggiamo ad essi? Perché, soprattutto, i rappresentanti di un qualsiasi paese, agglomerato urbano o simili sono professionisti della menzogna assoluta? Un tempo la prima regola con cui si sceglieva un leader era proprio il senso di fiducia che egli riusciva a ispirare negli altri, oggi questo concetto sarebbe da veri ingenui. Tutti i paesi hanno poca fiducia nell’onestà intellettuale e talvolta concreta dei propri governatori e politici.
Etica dell’inganno
La risposta di ciò si ha appunto nell’enorme differenza che passa tra educazione, istinto e cultura. L’istinto è fisso per tutti ed è abbastanza condivisibile. Se ad un bambino di 3-4 anni si fa uno sgarbo, egli cercherà di rendere la pariglia, potremmo dire di vendicarsi. Se si è gentili con lui, sarà riconoscente e felice per questo. Su questo primo concetto si incardina il secondo, la cultura. Se per esempio è insegnato al bambino che vendicarsi, o rendere occhio per occhio è sbagliato, questo cercherà di omologarsi al nuovo pensiero, per non essere escluso dal gruppo. Si farà quindi violenza e sopprimerà per quanto gli è possibile il proprio istinto di base. Arriva ora il terzo cardine, l’educazione. Ciò che dicono le figure chiave, genitori ed educatori, ha sempre e comunque, nella mente del bambino, la precedenza.
Otteniamo quindi un bel pasticcio, che ci porta a confonderci oltremodo. Si deve agire in un modo o no? Se la cultura e l’istinto dicono di sì ma la mamma non vuole, devo farlo? Se lo dice la mamma e la cultura ma è contro il mio istinto, come mi comporto?
Qui entrano in gioco altri meccanismi che tratteremo un’altra volta.
Conclusioni
Tornando al concetto cardine, il motivo per cui inganniamo gli altri deriva quindi dal benessere personale, anteposto – oggi più che mai – al bene del gruppo. Nei millenni passati abbiamo evitato questa “trappola” con concetti morali, dogmi, leggi ed educazione, ma oggi tutto questo decade. Privi di speranze e direzioni, ognuno agisce prima di tutto per sé, in quanto la logica corretta è che devo pensare al mio benessere e a quello di chi mi è caro, solo poi al gruppo. Purtroppo questo non è compatibile con nessuna specie sociale, noi inclusi. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti noi.
Antonio
Per approfondire
A.Meridda, F.Pandiscia, “Prova a Mentirmi”
A.Meridda, F.Pandiscia, “Il Metodo Antiballe”
I. Eibl-Ebiesfeldt “Etologia umana”
K. Grammer, R. Schropp, H. Shibasaka “Contact, conflict and appeasement – children’s interaction strategies. The use of photography”
W.W. Lambert, A.L. Tan “Expressive styles and strategies in the aggressive actions of children of six cultures”
J. Maynard-Smith “Game theory and the evolution of behaviour”
W. Wickler “Mimetismo animale e vegetale”
G.W. Barlow, T.E. Rowell “The contribution of game theory to animal behavior”
H. Kummer “Aggression bei affen”
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L’autore: Antonio Meridda
Antonio Meridda è laureato in scienze naturali, con master in etologia e in giornalismo scientifico. Formatore ed esperto di linguaggio del corpo ha ottenuto le certificazioni F.A.C.S. (Facial Action Coding System) e B.C.E. (Body Coding System) ed è autore di numerosi libri e videocorsi sull’argomento. Iscriviti alla sua newsletter per leggere i suoi articoli e imparare tutto sul linguaggio del corpo.
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