Parole, parole, parole. Un fiume continuo di segnali che caratterizzano qualsiasi gruppo umano sin da quando eravamo poco diversi dalle altre scimmie.

Ma perché parliamo così tanto?

Cerchiamo di capire cosa fa di noi umani una razza tanto chiacchierona.

L’origine della chiacchiera: a che servono tante parole

Tutti sanno che la parola si è evoluta con il perfezionamento degli strumenti, ovvero come mezzo per comunicare una conoscenza. Siamo sicuri che sia così?
Certo nell’epoca della comunicazione ciò sembra scontato, è attraverso le parole che possiamo imparare qualcosa, apprendere ad esempio a usare un computer, a programmare un cellulare o come abbiamo evoluto il nostro linguaggio.
Ma è SEMPRE stato così? Forse sorprenderà molta gente sapere che il linguaggio non ha molto a che fare con l’aspetto informativo. A dire il vero, la sua origine non ha quasi per niente a che fare con questo!
La famosa ipotesi di partenza che tutti conoscono è la seguente: un gruppo di cacciatori esce al mattino, in cerca di una preda. Individuano un grosso cervo. Si dividono e, grazie al coordinamento dato loro dalle parole, lo accerchiano e lo abbattono. Giusto? Per nulla.
Provate a guardare come un branco di lupi fa la stessa cosa, e noterete che non una volta parlano tra loro, al massimo fanno dei segnali non verbali molto semplici per spingere l’animale braccato in una direzione precisa. Ma sono animali molto diversi da noi, quindi non vale.
Allora prendiamo come esempio il surrogato umano della caccia in branco, ricordo atavico dei nostri antenati: la partita di calcio. Non è un caso che tale sport appassioni in primo luogo gli uomini, dato che la palla e il gruppo di uomini che la insegue è una rievocazione di quando, appunto, un gruppo di cacciatori accerchiava la preda e lottava per il suo possesso. Tale azione è impressa nei geni maschili umani da almeno 50.000 anni!
Adesso pensateci: qualcuno di loro chiacchiera attivamente sul campo? Si scambiano informazioni del tipo “io vado a destra, tu a sinistra, cerca di fermare quello lì e io penso all’altro?” o “qui ci penso io, tu smarcati più avanti?”
Manco per nulla. Motivo? Provate a parlare mentre correte e siete concentrati e capirete subito quanto è difficile. Se siete uomini e non donne il fattore di difficoltà è moltiplicato per circa 10 a causa dell’adattamento del cervello maschile a gestire una cosa alla volta: o si parla o si corre.

Quindi perché usiamo tutte queste parole?

Ok. Esclusa la causa organizzativa dei ruoli in azione, possiamo supporre che rimanga quella dell’insegnamento diretto giusto? Per esempio, come si impara a tessere e cucire, cucinare, scolpire, modellare, costruire qualcosa senza ricevere informazioni da un esperto?
Come? Con l’osservazione. Anche oggi possiamo imparare a fare qualcosa anche di molto complesso attraverso i video, come smontare un cellulare o far funzionare un programma. Le parole anche in questo caso, che sembrerebbe centrale, sono molto relative, possiamo vedere un video di cucina o di trucco in una lingua del tutto sconosciuta e afferrarne i concetti solo imitando i movimenti che vediamo.
Diciamo di più: se ci parlano mentre siamo impegnati a fare la cosa nuova, ad esempio cucinare un piatto o anche guidare un’auto, è probabile che sbagliamo e che non riusciamo nel compito. Questo, come prima, se siete uomini va moltiplicato per 10, parleremo in un altro articolo del perché.
Rimane un ultimo aspetto, che però è estremamente importante – anche se sottovalutato – ovvero la relazione sociale. Leggete un qualsiasi social e noterete che il 90% dei discorsi non riguarda né l’insegnamento né consigli utili o pratici, né il coordinamento in qualcosa. Riguarda quello che in inglese si dice “chat” ovvero “chiacchiere”.
Sorprende quindi che siano le donne a comunicare meglio? Ovvio che no! Le donne sono adattate e selezionate dall’evoluzione per comprendere e capire gli altri, anche quando non parlano (come i neonati).
sorpresa
La comunicazione verbale ha quindi come primo scopo rafforzare i rapporti tra noi. Possibile che sia solo questo? Non è poco, in effetti! La spinta alla socializzazione è fortissima, tanto da aver modificato del tutto il nostro corpo per riuscirci.
Partiamo dai nostri parenti più vicini, i soliti scimpanzé. Questi passano moltissimo tempo a costruire rapporti sociali tra loro. Il mezzo principale usato è il contatto fisico, attraverso il meccanismo noto come “grooming” ovvero spulciarsi e pulirsi a vicenda.
Non sorprenderà nessuno che noi manteniamo la maggior parte di questo istinto, ancora una volta più forte nelle donne che, essendo migliori comunicatrici, sono anche più brave e più “portate” per farlo. Si notano spesso donne che si occupano attivamente del grooming del proprio compagno prima e dei figli poi (molto più raro è che lo facciano gli uomini alle donne e ai figli, per ragioni appunto innate).
Il gruppo di scimpanzé è però spesso piuttosto limitato e conta circa 15-20 individui. Probabilmente anche i primi gruppi umani dovevano avere un numero simile. Poi però le cose cambiarono nettamente.
Per coinvolgere gruppi sempre più grandi, il grooming “diretto” non poteva bastare, e serviva quindi un mezzo che permettesse di stare tutti insieme appassionatamente senza scannarsi.
Ed ecco la grande invenzione: il grooming talk. La chiacchiera diventa in tutto e per tutto una sorta di spulciamento, di occuparsi dell’altra persona in modo attivo. Si discute cioè di cose apparentemente inutili e poco importanti, tipo come stai, cosa fai, e come stanno i tuoi ecc. ecc.
Queste parole sembrano vuote e si potrebbe pensare che siano un derivato secondario del linguaggio, ovvero che si è imparato a parlare e tra le altre cose si ha iniziato a chiacchierare. In realtà è l’esatto opposto: si è iniziato a chiacchierare e si è poi scoperto che si poteva usare tale abilità anche per comunicare cose più importanti.

Scimmie chiacchierone!

 

Gli mancano le parole?

Quindi, tutto qua? Basterebbe allora insegnare alle altre scimmie a parlare e potremmo comunicare senza problemi. In effetti, si è tentato qualcosa di simile diverse volte, e si è scoperto che gorilla e scimpanzé sono molto abili a imparare il linguaggio dei segni umano e a comunicare con noi. Il fatto è che non ne sentono alcun bisogno. Il loro cervello, quindi, capisce e comprende come fare, ma non lo fa. Un pò come il cervello di qualsiasi umano, se educato, capisce la matematica (quantomeno le basi come le tabelline e le addizioni) ma se non educato è difficile che senta “il bisogno” istintivo di farlo.
Il nostro corpo ha evoluto molte parti diverse per parlare che le altre scimmie non hanno modificato.
Ecco l’elenco:
palato – negli umani è curvo e “incavato” verso l’alto, nelle scimmie, come potete vedere anche in cani e gatti, è diritto. La lingua ha più spazio e può formare fonemi come “l, k, gh”;
denti – si allineano tra loro in modo da pronunciare fonemi complessi come “d, t, s, z” che le altre scimmie non sanno pronunciare;
gola – laringe e faringe si separano. Il problema è che così facendo non possiamo parlare e respirare insieme, e ci si strozza facilmente se si cerca di farlo. I neonati umani non hanno ancora questa divisione, che si forma a qualche mese di vita, quindi riescono ad esempio a poppare e respirare senza alcun problema, cosa che noi non possiamo più fare;
cervello – si sviluppano alcune aree apposite per la parola, come quelle di Broca e di Wernicke. Queste permettono di imparare subito un linguaggio percepito in età prepuberale. Un bambino può in questo stadio formare un linguaggio come un altro, per questo se ha genitori bilingui può facilmente imparare entrambe le lingue. Non potrà più farlo una volta compiuti i 12-13 anni. Nelle donne il cervello si modifica ancora di più rispetto agli uomini, non per caso il grooming talk è usato dalle donne circa 5 volte più degli uomini. Le loro aree cerebrali sono interconnesse alla parola, quindi sono più abili a farlo per motivi biologici (ovviamente, se non educate a farlo non svilupperanno molto questa capacità, così come nessuno diverrà mai un grande atleta se non si allenerà).
Il neonato emette molti fonemi e suoni, ma questo è pressoché identico nel neonato di scimpanzé. La differenza è che quest’ultimo non si differenzierà molto, crescendo, da questo tipo di comunicazione “primitivo”, mentre un essere umano evolverà il suo linguaggio sentendo quello altrui.

Conclusioni

La parola non è quindi del tutto innata. Ovviamente ogni linguaggio ha un modo diverso e spesso unico per definire un oggetto o un modo di dire, ma tutte portano a situazioni simili. Tutte hanno forme di cortesia molto simili, presentano grooming talk ed esprimono concetti in modo simile. Il nostro cervello è, in definitiva, progettato per parlare, e così la nostra bocca e la nostra gola.
Le chiacchiere non sono vuote e inutili, anche quando sembrano tali. Ovvio, per un uomo hanno “senso” differente che per una donna, proprio perché le ridotte abilità maschili sono indirizzate in altro. Il grooming talk maschile in genere è ridotto a un “ciao” o a “come va?” e molto di rado si spinge oltre. I millenni di dominazione maschile hanno quindi ridotto questo modo di parlare a chiacchiere, nel senso più dispregiativo del termine. Probabilmente è tutta invidia…

Antonio

Per approfondire

I. G. Mattingly “Speech cues and sign stimuli”
D. Morris “La scimmia nuda
I. Eibl-Eibesfeldt “Etologia umana
A. M Liebermann “The phylogeny of language”
N. R. Varney, J. A. Vilensky “Neuropsychological implications for preadaptation and language evolution”
J. H. Hill “Possible continuity theories of language”
N. Chomsky “Language and the mind”
G. Tembrock “Phonetische eigenschaften von primatenlauten in evolutions-aspekt”
F. G. Patterson “The gestures of a gorilla: language acquisition in another pongid”
V. Hescheen “Intuitionen. Grammatische gesprache in nichtkulturierten sprachgemeinschaften”

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L’autore: Antonio Meridda

ritrattoAntonio Meridda è laureato in scienze naturali, con master in etologia e in giornalismo scientifico. Formatore ed esperto di linguaggio del corpo ha ottenuto le certificazioni F.A.C.S. (Facial Action Coding System) e B.C.E. (Body Coding System) ed è autore di numerosi libri e videocorsi sull’argomento. Iscriviti alla sua newsletter per leggere i suoi articoli e imparare tutto sul linguaggio del corpo.

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